LITE FRA ARCHISTAR:LIBESKIND ACCUSA FUKSAS E GREGOTTI - "Voi, servi del potere"

(Daniel Libeskind)
"Servire il principe o il popolo... Un vecchio problema per gli architetti. Quando il committente di un'architettura è un monarca assoluto, per i progettisti è spesso più semplice realizzare un'opera, basta seguirne le inclinazioni del gusto. La democrazia invece, con le sue burocrazie e i suoi riti, allunga i tempi dei progetti e spesso li incaglia. Detto questo, l'attacco lanciato da Daniel Libeskind ai colleghi che lavorano per i «nuovi dittatori» è un giusto richiamo o un autogol fuoritempo?
Su Architects' Journal, Libeskind ha criticato aspramente quei colleghi che si mettono al servizio di «regimi autoritari». Discettando su etica e committenza, Libeskind ha sottolineato che, ancora oggi, gli architetti possono essere usati per servizi poco apprezzabili. Così, in una ricostruzione dei possibili riferimenti, ieri si sono cimentati blog e giornali facendo trapelare vari nomi di progettisti ai quali sarebbero rivolti gli strali dell'archistar.
(Shenzhen International Airport Terminal
 - Massimiliano Fuksas - China)
Primi fra tutti quelli che stanno realizzando grandiosi progetti in Cina, come Rem Koolhaas (China Central Television), la cui poetica, comunque, come mostra un bel libro di Roberto Gargiani, (Rem Koolhaas/OMA, Laterza, pp. 230, 25), si è formata nel contesto culturale delle neo-avanguardie fine anni Sessanta. Oltre a Koolhaas gli strali di Libeskind sarebbero contro Herzog & de Meuron (Stadio nazionale) e gli italiani Massimiliano Fuksas (per l'aeroporto di Shenzen) e Vittorio Gregotti (per la new town di Jiangwan).
Inoltre, genericamente gli architetti che stanno lavorando negli Emirati, a Dubai, ad Abu Dhabi e a Riad, ovvero nei santuari di una certa architettura contemporanea. Insomma, per Libeskind non si può servire due padroni, l'architettura e il denaro. L'etica dell'architetto preclude di porsi al servizio di Paesi a rischio totalitario.
(China Central Television - Rem Koolhaas - China)
Ieri, Vittorio Gregotti, ha inviato a Daniel Libeskind una lettera di commento. «Gli ho risposto - riferisce - di andarsi a leggere Architettura e potere di Deyan Sudjic». Un libro (Laterza, pp.384, 20) dove si dimostra come edificare sia il mezzo con cui l'egotismo degli individui al potere si esprime nella sua forma più pura, come dimostrano gli edifici commissionati da Imelda Marcos nelle Filippine, la moschea voluta da Saddam Hussein e le ville per Mao di Zhang Kaiji ma anche la piramide di Mitterrand o il Millennium Dome dell'epoca Blair.
Aggiunge Gregotti: «Se c'è un esempio di rispecchiamento del potere è proprio quello di Libeskind. Tutti i suoi progetti sono espressioni al servizio del potere finanziario, esempi di adesione al potere, sono come architettura stalinista. Il mio intervento in Cina non è al servizio del grande dittatore, ma dello scongelamento della Cina, secondo me è un'apertura, nasce con l'inizio della concessione ai privati».
Anche Massimiliano Fuksas rispedisce al mittente le accuse lanciate da Libeskind. «È molto meglio lavorare con l'emiro di Abu Dhabi e sperimentare un modello di città sostenibile, come fa Norman Foster, piuttosto che impegnarsi in Citylife, che è la peggiore speculazione immobiliare italiana da Craxi in poi, realizzata all'ex Fiera di Milano, come ha fatto Libeskind. Io - continua Fuksas - ho progettato l'aeroporto di Shenzen, in Cina, ma nessuno mi ha chiesto di inneggiare al comunismo capitalista cinese. Libeskind non avrebbe dovuto progettare tanti centri commerciali che, per i moralisti americani, sono quanto di peggio si possa immaginare».
Di Koolhaas, sull'argomento, ricordiamo che, dopo la delusione del progetto abbandonato alla Maddalena, disse: «La morale è una sola: la politica rovina la buona architettura. In ogni parte del mondo».
Da accusatore, insomma, la raccolta delle reazioni al suo j'accuse fa finire Libeskind sul banco degli accusati, specie per Citylife. Un progetto realizzato con Zaha Hadid, un'archistar che figurerebbe tra i suoi «accusabili».
Si tratta di un discorso pericoloso quello tra architettura e potere e si tratta di architetture che, spesso, non reggono ai tempi. Lo ricorda lo storico Francesco Dal Co a proposito delle opere bulgare di Georgi Stoilov, che celebravano il regime. La Casa del partito sul monte Buzludja, una sorta di pantheon, «è completamente abbandonata. Rapidamente il tempo ha provveduto a trasformare in una rovina questa costruzione così pretenziosamente e insensatamente moderna» (Dal Co ha dedicato a essa un saggio su Casabella). Un monito per tutte le costruzioni «da regime» up-to-date."




2 commenti:

davide ferrari ha detto...

esistono a mio avviso altre vie, tracciate o teorizzate ad esempio da colin ward piuttosto che da walter gropius, per citare solo due nomi famosi, nel solco delle idee anarchiche o libertarie.
come non ricordare la ''tecnica della collaborazione tra gli uomini'', volta a liberare gli istinti creativi dei singoli, invece di soffocarli.
il punto centrale della tecnica di collaborazione diviene la sublimazione della libertà individuale di iniziativa contro la direzione o controllo autoritario del potere costituito, autoritario o burocrate democratico.
solo rendendo armonico o armonioso lo sforzo individuale si può giungere ad un ininterrotto flusso naturale di scambio fra dare e avere dei membri coinvolti in una attività sorta per dare risposte a necessità del convivere di una comunità. certo bisogna crederci ed è difficile, ma i tempi credo stiano maturando ed ai pionieri si può solo rivolgere un grazie, anche se spesso postumo.

Anonimo ha detto...

“l´architettura è memoria. Ogni grande edificio ci aiuta a capire la nostra identità, è una connessione essenziale con il passato, senza non avremmo orientamento, non sapremmo nemmeno chi siamo”. così scrive l'archistar Daniel Libeskind a proposito del suo museo ebraico di Berlino.
Ma di cosa si sarà ricordato progettando il suo contributo a Citylife?
Di Milano e dei milanesi sembrerebbe proprio di no.
http://www.artonweb.it/architettura/articolo51.html

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